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Lo stile dell'autrice - concitato, accattivante, pregnante - e la storia, quella di una famiglia emigrata al Nord per sfuggire alle conseguenze della sua collusione con la 'ndrangheta, rendono gradevole la lettura di questo romanzo che però sembra mancare di qualcosa, probabilmente di tensione narrativa e di profondità; l'eccessiva presenza di dettagli e descrizioni risulta un pò fastidiosa e pleonastica perché, malgrado sia funzionale ad inquadrare il periodo in cui la storia si svolge, conduce la narrazione ad un livello più superficiale facendo perdere spessore ai personaggi. Personaggi che appaiono indefiniti ed abbozzati; persino Laura, che più di tutti ha spinto per emigrare in cerca di una vita nuova e diversa, verso la fine del romanzo sembra dubitare della sua scelta tanto che di lei l'autrice dice "Non aver potuto scegliere, questo faceva sentire Laura una vittima".
Un romanzo che non ha la brillantezza e la bellezza de "Le assaggiatrici" della stessa autrice.
Gli autori ricostruiscono il periodo del 1992 intercorso tra la strage di Capaci e quella di via D'Amelio evidenziando, da una parte, le carenze del sistema di sicurezza e gli omissis che non sono riusciti ad evitarle e, dall'altra, la volontà, già palese nella scomparsa dell'agenda rossa di Borsellino, di non arrivare a fare piena luce sui mandanti occulti delle stragi stesse.
In tutto questo emerge la solitudine di Falcone e Borsellino, legati a doppio filo da una vera amicizia e dallo stesso senso del dovere, "motori di una fase storica di contrasto a Cosa Nostra" come scrivono gli autori, che lavorarono instancabilmente e coraggiosamente ma a cui gli appoggi istituzionali arrivarono troppo tardi.
A più di trent'anni di distanza, oltre al ricordo e all'esigenza di verità, viene da chiedersi se il sacrificio, loro e degli uomini della scorta, sia servito a rendere più difficile l'insinuarsi di Cosa Nostra, e della mafia, nella società civile, nelle istituzioni e nel tessuto imprenditoriale ed economico.
Spesso il concetto di bellezza viene associato all'arte-
musica, arti figurative, letteratura-, tipiche espressioni dell'uomo. Studiando i meccanismi e le leggi che regolano l'universo e la natura, si ha invece la sensazione che la vera bellezza si riveli attraverso un codice di numeri e parole che appartengono ad un ambito complesso e cangiante in cui l'uomo è uno degli attori.
Così Wilson, mirmecologo statunitense nato negli anni Venti del secolo scorso e da pochi anni scomparso, presenta in questo saggio le sue più importanti esperienze e scoperte sul mondo delle formiche, mettendo il lettore a parte di quella bellezza e di quell'armonia in cui il naturalista s'imbatte durante la sua attività professionale e scientifica.
Wilson, con lo sguardo lucido dello scienziato e lo stile accattivante del divulgatore, non nasconde anche i flagelli legati all'attività di alcune specie di formiche come, ad esempio, le formiche di fuoco in America e le tagliafoglie in Brasile e ci fa capire quanto siano multiformi e delicati gli equilibri degli ecosistemi, anche in relazione alle attività antropiche.
Un libro fantastico.
"Ricordando queste plumbee infamie della selvaggia vita russa, in certi momenti mi domando: ma vale la pena parlarne? E con rinnovata convinzione mi rispondo: sì, ne vale la pena; perché questa è verità, una verità ignobile e dura a morire, che sopravvive tuttora".In questa citazione Gorkij stesso riassume il fulcro della sua produzione letteraria: raccontare della vita della gente comune, di chi vive ai margini, di vagabondi, delle sue stesse origini popolari da cui parti' per diventare uno scrittore affermato ed amato già ai suoi tempi.
Questo romanzo autobiografico risale al 1913 quando l'autore aveva già più di quarant'anni: in esso colpiscono molto le descrizioni toccanti, a tratti commoventi, delle vicissitudini che lo hanno visto protagonista con le persone a lui più care e degli ambienti raffigurati con espressioni che mutano la scrittura in immagine poetica.
Nonostante la difficoltà della materia, la matematica, gli argomenti sono esposti in modo chiaro e divertente e risultano quindi comprensibili anche grazie all'uso di figure, disegni e grafici esplicativi.
Il libro però mi è sembrato un pò dispersivo per l'elevato numero di teorie, teoremi, ipotesi, problemi trattati.
Verso la fine della lettura mi sono quindi chiesta, senza trovare una risposta, quale fosse il pubblico a cui l'autore intendesse rivolgersi, per chi avesse concepito quest'opera e, più in generale, quale sia l'obiettivo di un divulgatore scientifico: se il fine della divulgazione scientifica sia avvicinare alle scienze chi non le conosce per niente o le conosce poco oppure se sia mantenere vivo e contribuire a coltivare l'interesse di chi fa già parte di questo ambito.
Ho riletto questo breve romanzo a distanza di anni dall'ultima volta.
È un gioiello della letteratura per lo stile lineare, la storia semplice che ci dice che la vita è avventura ma soprattutto è ritrovare e ritrovarsi.
Cosa significa essere vecchi? Il termine "vecchio", con cui l'autore parla del protagonista, il pescatore Santiago, o con cui il protagonista si rivolge a se stesso, è ripetuto per più di 260 volte nelle 141 pagine effettive di questa edizione.
Non mi sembra un libro indicato ai giovanissimi anche per i vocaboli che sono piuttosto specifici del mare e della pesca.
Non avevo mai letto nulla di Coelho prima.
Questo breve romanzo sembra un racconto uscito dalla raccolta di "Le Mille e una notte" per l'ambientazione-si svolge infatti prevalentemente nel deserto-, per l'elemento magico che pervade tutta la narrazione, per la descrizione di gesta esclusivamente maschili e anche per la violenza e la morte che fanno spesso capolino.
Una fiaba di gradevole lettura.
Di questo romanzo dalla trama spezzettata, in cui il sogno s’alterna ad una realtà metafisica ed in cui i personaggi sono in balia di cocaina, funghi allucinogeni e vodka prima che della loro volontà, emerge il tono critico, a tratti sarcastico, con cui Pelevin parla della Russia, delle sue peculiarità, della sua storia, della sua letteratura.
La lettura è avvolgente nonostante l’aspetto caricaturale di molti personaggi e nonostante le storie siano “asettiche”, senza sentimenti e senza grandi passioni.
E’evidente la grande conoscenza della letteratura da parte di Pelevin che riconduce, consciamente o inconsciamente, la sua narrazione a quella di altri scrittori: l’ambiente dell’ospedale psichiatrico ha molte analogie con il sanatorio de “La montagna incantata” di Mann nell’onnipotenza del medico, negli aghi delle siringhe sollevati come spade, nella non-libertà dei pazienti. Nella parte in cui Volodin, Kolijan e Surik, dopo aver consumato funghi allucinogeni, si ritrovano a discutere e a confrontare le proprie opinioni nel bosco è inevitabile che tornino alla mente i “Fratelli Karamazov” di Dostoevskij.
L'aspetto che meno mi piace del genere giallo o detective story è la sua velocità, ovvero il fatto che la trama e la suspense facciano letteralmente divorare le pagine al lettore fino a condurlo all'epilogo, senza che abbia il tempo o senta la necessità di soffermarsi sui pensieri espressi tra le righe.
Nei tre gialli di Trilogia di New York Paul Auster sovverte tale caratteristica poiché non è il racconto in sé ma il modo di raccontare a conferire tensione e a trasformare la storia stessa in giallo.
Attraverso un registro concitato, serrato, con una netta prevalenza del discorso indiretto l'autore scrive storie per parlarci (anche) d'altro: dell'animo umano, dei suoi limiti e dei suoi abissi, del rapporto dello scrittore con la sua opera e con i suoi personaggi, dell'intrecciarsi di realtà e finzione e del loro reciproco influenzarsi.
Così anche il lettore, tramite la concitazione del romanzo, si trova a riflettere sugli stessi argomenti che attanagliano i personaggi, a viverne gli stessi dubbi e le stesse paure, a provare le stesse angosce.
Un libro da leggere e da rileggere.
In questo capolavoro del cinema, uscito nel 1950, il genio di Rossellini rende omaggio alla figura di Francesco d'Assisi; di grande potenza e fascino è la scelta di un realismo estremo reso attraverso le strade piene di fango, le chiese poco più che casupole, la povertà della vita comunitaria dei frati che camminano scalzi indossando solo un saio ma che non demordono e che non rinunciano mai alla loro scelta di vita e di predicazione.
Durante quasi tutto il film il canto incessante delle lodi di Dio.
In questo saggio scorrevole, interessante ma soprattutto utile D'Angelis ripercorre la storia e l'evoluzione della Protezione civile italiana, osservandole attraverso i principali rischi che contraddistinguono la nostra penisola: prima di tutto sismico, vulcanico ed idrogeologico ma anche climatico, sanitario ed antropico.
Dalla lettura di questo testo mi sono fatta l'idea che l'eruzione dei vulcani sia, in fase acuta, il fenomeno più catastrofico e pericoloso in assoluto poiché all'eruzione si associano quasi sempre terremoto e maremoto e perché le ceneri rendono difficoltoso qualsiasi tipo d'intervento di soccorso.
Molto interessanti sono risultate le parti del libro riguardanti i terremoti; in particolare, per quanto concerne le cronache dei terremoti appare evidente che, nonostante le aree sismiche siano molto vaste, i terremoti si presentino quasi sempre nelle stesse città o nelle stesse zone. Limitandosi ai terremoti di elevata magnitudo, a L'Aquila, ad esempio, dal 1315 al 2009 se ne sono contati otto, in Irpinia dal 990 al 1980 se ne sono registrati sette, in Friuli dal 1348 al 1976 se ne ricordano quattro.
L'autore, oltre a porre l'accento sull'importanza della prevenzione come mitigazione del rischio, mostra come la storia della Protezione civile sia stata un continuo superamento dei propri errori, anche grazie ad un progressivo affinamento di tecnologie e metodi di previsione degli eventi e ad un'organizzazione che ha man mano disciplinato ed incanalato le risorse umane e di mezzi a disposizione.
Il romanzo non mi è piaciuto nonostante la scrittura vibrante e partecipe dell'autrice e nonostante tratti un argomento molto interessante ed insolito, ovvero l'esperienza di alcuni ragazzi di Sarajevo che hanno vissuto la guerra nella ex-Jugoslavia negli Anni Novanta.
A me sembra infatti che il testo sia infarcito di luoghi comuni, ovvietà e giudizi senza appello in diversi punti: quando si affronta il tema della guerra con l'inumanita' e disumanita' che reca con sé, che sono ben note al lettore, e a cui l'autrice non aggiunge una sfumatura, un punto di vista, un taglio nuovi; lo stesso succede quando il racconto tocca gli aspetti dell'accoglienza, della religione, della genitorialita' biologica e di adozione, dell'amore, del suicidio.
Forse si sono voluti includere nella storia troppi temi sfiorandone solo la superficie, senza sviscerarne ed approfondirne nessuno.
Attraverso un romanzo ben scritto ed ancor meglio composto, che oscilla tra i toni del giallo e quelli della leggenda, Fabiano Massimi ci narra la storia che coinvolse Il giovane inglese Nicholas Winton che con altri due suoi connazionali, Doreen Warriner e Trevor Chadwick, portò in salvo 669 bambini dalla Cecoslovacchia invasa dai Nazisti all'Inghilterra.
Una storia che si inserisce all'interno della più ampia Operazione Kindertransport, che rimase sconosciuta per cinquant'anni e di cui esistono pochissimi documenti; Winton, Warriner e Chadwick non ne parlarono quasi per nulla perché, così scrive Massimi, "Certe cose le fai perché devi. Certe cose le fai perché puoi, e dopo non ne parli più".
O forse perché avvertivano che il salvataggio di quei bambini fu una piccola luce all'interno della notte più buia della storia in cui la maggior parte delle persone morì e cadde nell'oblio, in cui si separarono figli da genitori, fratelli da sorelle per poter garantire almeno a qualcuno la vita.
Con questo romanzo struggente, scritto in un linguaggio limato dove nulla è pleonastico o superfluo, Michela Murgia ci catapulta prima a Soreni, in Sardegna, in un mondo sconosciuto ed atavico per poi proseguire la storia in una Torino che assomiglia a molte città dei nostri giorni e quindi concluderla in Sardegna.
L'autrice pone all'attenzione del lettore due temi sfaccettati e complessi: la maternità e l'eutanasia, temi che si susseguono lungo l'intero racconto, a volte alternandosi, a volte correndo in parallelo, a volte superandosi senza mai però raggiungersi o toccarsi.
In questa interessantissima monografia Fernando Mazzocca ci presenta Giuseppe De Nittis, pittore originario di Barletta che lavorò prima a Napoli e poi a Londra e Parigi tra il 1860 e il 1884, anno in cui morì a soli 38 anni.
I critici sono in disaccordo nello stabilire se De Nittis sia stato un impressionista o no ma probabilmente l'aspetto più affascinante della sua straordinaria pittura è il legame con la fotografia allora agli albori. Infatti, osservando le 60 riproduzioni delle opere di De Nittis qui presenti, si intuisce come la fotografia abbia influenzato il suo approccio pittorico, visibile ad esempio nei ritratti in cui il soggetto appare decentrato, nelle scene di vita metropolitana che richiamano la "street photography", nella fuga prospettica che conferisce profondità alla scena, nei violenti chiaroscuri delle immagini notturne o dei tramonti, nella gestione difficile delle ombre delle ore di sole intenso.
Ultime recensioni inserite
R: L'estate che perdemmo Dio - Rosella Postorino
Lo stile dell'autrice - concitato, accattivante, pregnante - e la storia, quella di una famiglia emigrata al Nord per sfuggire alle conseguenze della sua collusione con la 'ndrangheta, rendono gradevole la lettura di questo romanzo che però sembra mancare di qualcosa, probabilmente di tensione narrativa e di profondità; l'eccessiva presenza di dettagli e descrizioni risulta un pò fastidiosa e pleonastica perché, malgrado sia funzionale ad inquadrare il periodo in cui la storia si svolge, conduce la narrazione ad un livello più superficiale facendo perdere spessore ai personaggi. Personaggi che appaiono indefiniti ed abbozzati; persino Laura, che più di tutti ha spinto per emigrare in cerca di una vita nuova e diversa, verso la fine del romanzo sembra dubitare della sua scelta tanto che di lei l'autrice dice "Non aver potuto scegliere, questo faceva sentire Laura una vittima".
Un romanzo che non ha la brillantezza e la bellezza de "Le assaggiatrici" della stessa autrice.
L'agenda rossa di Paolo Borsellino - Giuseppe Lo Bianco, Sandra Rizza
Gli autori ricostruiscono il periodo del 1992 intercorso tra la strage di Capaci e quella di via D'Amelio evidenziando, da una parte, le carenze del sistema di sicurezza e gli omissis che non sono riusciti ad evitarle e, dall'altra, la volontà, già palese nella scomparsa dell'agenda rossa di Borsellino, di non arrivare a fare piena luce sui mandanti occulti delle stragi stesse.
In tutto questo emerge la solitudine di Falcone e Borsellino, legati a doppio filo da una vera amicizia e dallo stesso senso del dovere, "motori di una fase storica di contrasto a Cosa Nostra" come scrivono gli autori, che lavorarono instancabilmente e coraggiosamente ma a cui gli appoggi istituzionali arrivarono troppo tardi.
A più di trent'anni di distanza, oltre al ricordo e all'esigenza di verità, viene da chiedersi se il sacrificio, loro e degli uomini della scorta, sia servito a rendere più difficile l'insinuarsi di Cosa Nostra, e della mafia, nella società civile, nelle istituzioni e nel tessuto imprenditoriale ed economico.
Storie dal mondo delle formiche - Edward O. Wilson
Spesso il concetto di bellezza viene associato all'arte-
musica, arti figurative, letteratura-, tipiche espressioni dell'uomo. Studiando i meccanismi e le leggi che regolano l'universo e la natura, si ha invece la sensazione che la vera bellezza si riveli attraverso un codice di numeri e parole che appartengono ad un ambito complesso e cangiante in cui l'uomo è uno degli attori.
Così Wilson, mirmecologo statunitense nato negli anni Venti del secolo scorso e da pochi anni scomparso, presenta in questo saggio le sue più importanti esperienze e scoperte sul mondo delle formiche, mettendo il lettore a parte di quella bellezza e di quell'armonia in cui il naturalista s'imbatte durante la sua attività professionale e scientifica.
Wilson, con lo sguardo lucido dello scienziato e lo stile accattivante del divulgatore, non nasconde anche i flagelli legati all'attività di alcune specie di formiche come, ad esempio, le formiche di fuoco in America e le tagliafoglie in Brasile e ci fa capire quanto siano multiformi e delicati gli equilibri degli ecosistemi, anche in relazione alle attività antropiche.
Un libro fantastico.
Infanzia - Maksim Gor'kij
"Ricordando queste plumbee infamie della selvaggia vita russa, in certi momenti mi domando: ma vale la pena parlarne? E con rinnovata convinzione mi rispondo: sì, ne vale la pena; perché questa è verità, una verità ignobile e dura a morire, che sopravvive tuttora".In questa citazione Gorkij stesso riassume il fulcro della sua produzione letteraria: raccontare della vita della gente comune, di chi vive ai margini, di vagabondi, delle sue stesse origini popolari da cui parti' per diventare uno scrittore affermato ed amato già ai suoi tempi.
Questo romanzo autobiografico risale al 1913 quando l'autore aveva già più di quarant'anni: in esso colpiscono molto le descrizioni toccanti, a tratti commoventi, delle vicissitudini che lo hanno visto protagonista con le persone a lui più care e degli ambienti raffigurati con espressioni che mutano la scrittura in immagine poetica.
A piccole dosi - Piergiorgio Odifreddi
Nonostante la difficoltà della materia, la matematica, gli argomenti sono esposti in modo chiaro e divertente e risultano quindi comprensibili anche grazie all'uso di figure, disegni e grafici esplicativi.
Il libro però mi è sembrato un pò dispersivo per l'elevato numero di teorie, teoremi, ipotesi, problemi trattati.
Verso la fine della lettura mi sono quindi chiesta, senza trovare una risposta, quale fosse il pubblico a cui l'autore intendesse rivolgersi, per chi avesse concepito quest'opera e, più in generale, quale sia l'obiettivo di un divulgatore scientifico: se il fine della divulgazione scientifica sia avvicinare alle scienze chi non le conosce per niente o le conosce poco oppure se sia mantenere vivo e contribuire a coltivare l'interesse di chi fa già parte di questo ambito.
Il vecchio e il mare - Ernest Hemingway
Ho riletto questo breve romanzo a distanza di anni dall'ultima volta.
È un gioiello della letteratura per lo stile lineare, la storia semplice che ci dice che la vita è avventura ma soprattutto è ritrovare e ritrovarsi.
Cosa significa essere vecchi? Il termine "vecchio", con cui l'autore parla del protagonista, il pescatore Santiago, o con cui il protagonista si rivolge a se stesso, è ripetuto per più di 260 volte nelle 141 pagine effettive di questa edizione.
Non mi sembra un libro indicato ai giovanissimi anche per i vocaboli che sono piuttosto specifici del mare e della pesca.
L'alchimista - Paulo Coelho
Non avevo mai letto nulla di Coelho prima.
Questo breve romanzo sembra un racconto uscito dalla raccolta di "Le Mille e una notte" per l'ambientazione-si svolge infatti prevalentemente nel deserto-, per l'elemento magico che pervade tutta la narrazione, per la descrizione di gesta esclusivamente maschili e anche per la violenza e la morte che fanno spesso capolino.
Una fiaba di gradevole lettura.
Il mignolo di Buddha - Viktor Pelevin
Di questo romanzo dalla trama spezzettata, in cui il sogno s’alterna ad una realtà metafisica ed in cui i personaggi sono in balia di cocaina, funghi allucinogeni e vodka prima che della loro volontà, emerge il tono critico, a tratti sarcastico, con cui Pelevin parla della Russia, delle sue peculiarità, della sua storia, della sua letteratura.
La lettura è avvolgente nonostante l’aspetto caricaturale di molti personaggi e nonostante le storie siano “asettiche”, senza sentimenti e senza grandi passioni.
E’evidente la grande conoscenza della letteratura da parte di Pelevin che riconduce, consciamente o inconsciamente, la sua narrazione a quella di altri scrittori: l’ambiente dell’ospedale psichiatrico ha molte analogie con il sanatorio de “La montagna incantata” di Mann nell’onnipotenza del medico, negli aghi delle siringhe sollevati come spade, nella non-libertà dei pazienti. Nella parte in cui Volodin, Kolijan e Surik, dopo aver consumato funghi allucinogeni, si ritrovano a discutere e a confrontare le proprie opinioni nel bosco è inevitabile che tornino alla mente i “Fratelli Karamazov” di Dostoevskij.
Trilogia di New York - Paul Auster
L'aspetto che meno mi piace del genere giallo o detective story è la sua velocità, ovvero il fatto che la trama e la suspense facciano letteralmente divorare le pagine al lettore fino a condurlo all'epilogo, senza che abbia il tempo o senta la necessità di soffermarsi sui pensieri espressi tra le righe.
Nei tre gialli di Trilogia di New York Paul Auster sovverte tale caratteristica poiché non è il racconto in sé ma il modo di raccontare a conferire tensione e a trasformare la storia stessa in giallo.
Attraverso un registro concitato, serrato, con una netta prevalenza del discorso indiretto l'autore scrive storie per parlarci (anche) d'altro: dell'animo umano, dei suoi limiti e dei suoi abissi, del rapporto dello scrittore con la sua opera e con i suoi personaggi, dell'intrecciarsi di realtà e finzione e del loro reciproco influenzarsi.
Così anche il lettore, tramite la concitazione del romanzo, si trova a riflettere sugli stessi argomenti che attanagliano i personaggi, a viverne gli stessi dubbi e le stesse paure, a provare le stesse angosce.
Un libro da leggere e da rileggere.
Francesco giullare di Dio - un film di Roberto Rossellini
In questo capolavoro del cinema, uscito nel 1950, il genio di Rossellini rende omaggio alla figura di Francesco d'Assisi; di grande potenza e fascino è la scelta di un realismo estremo reso attraverso le strade piene di fango, le chiese poco più che casupole, la povertà della vita comunitaria dei frati che camminano scalzi indossando solo un saio ma che non demordono e che non rinunciano mai alla loro scelta di vita e di predicazione.
Durante quasi tutto il film il canto incessante delle lodi di Dio.
Italiani con gli stivali - Erasmo D'Angleis
In questo saggio scorrevole, interessante ma soprattutto utile D'Angelis ripercorre la storia e l'evoluzione della Protezione civile italiana, osservandole attraverso i principali rischi che contraddistinguono la nostra penisola: prima di tutto sismico, vulcanico ed idrogeologico ma anche climatico, sanitario ed antropico.
Dalla lettura di questo testo mi sono fatta l'idea che l'eruzione dei vulcani sia, in fase acuta, il fenomeno più catastrofico e pericoloso in assoluto poiché all'eruzione si associano quasi sempre terremoto e maremoto e perché le ceneri rendono difficoltoso qualsiasi tipo d'intervento di soccorso.
Molto interessanti sono risultate le parti del libro riguardanti i terremoti; in particolare, per quanto concerne le cronache dei terremoti appare evidente che, nonostante le aree sismiche siano molto vaste, i terremoti si presentino quasi sempre nelle stesse città o nelle stesse zone. Limitandosi ai terremoti di elevata magnitudo, a L'Aquila, ad esempio, dal 1315 al 2009 se ne sono contati otto, in Irpinia dal 990 al 1980 se ne sono registrati sette, in Friuli dal 1348 al 1976 se ne ricordano quattro.
L'autore, oltre a porre l'accento sull'importanza della prevenzione come mitigazione del rischio, mostra come la storia della Protezione civile sia stata un continuo superamento dei propri errori, anche grazie ad un progressivo affinamento di tecnologie e metodi di previsione degli eventi e ad un'organizzazione che ha man mano disciplinato ed incanalato le risorse umane e di mezzi a disposizione.
Mi limitavo ad amare te - Rosella Postorino
Il romanzo non mi è piaciuto nonostante la scrittura vibrante e partecipe dell'autrice e nonostante tratti un argomento molto interessante ed insolito, ovvero l'esperienza di alcuni ragazzi di Sarajevo che hanno vissuto la guerra nella ex-Jugoslavia negli Anni Novanta.
A me sembra infatti che il testo sia infarcito di luoghi comuni, ovvietà e giudizi senza appello in diversi punti: quando si affronta il tema della guerra con l'inumanita' e disumanita' che reca con sé, che sono ben note al lettore, e a cui l'autrice non aggiunge una sfumatura, un punto di vista, un taglio nuovi; lo stesso succede quando il racconto tocca gli aspetti dell'accoglienza, della religione, della genitorialita' biologica e di adozione, dell'amore, del suicidio.
Forse si sono voluti includere nella storia troppi temi sfiorandone solo la superficie, senza sviscerarne ed approfondirne nessuno.
Se esiste un perdono - di Fabiano Massimi
Attraverso un romanzo ben scritto ed ancor meglio composto, che oscilla tra i toni del giallo e quelli della leggenda, Fabiano Massimi ci narra la storia che coinvolse Il giovane inglese Nicholas Winton che con altri due suoi connazionali, Doreen Warriner e Trevor Chadwick, portò in salvo 669 bambini dalla Cecoslovacchia invasa dai Nazisti all'Inghilterra.
Una storia che si inserisce all'interno della più ampia Operazione Kindertransport, che rimase sconosciuta per cinquant'anni e di cui esistono pochissimi documenti; Winton, Warriner e Chadwick non ne parlarono quasi per nulla perché, così scrive Massimi, "Certe cose le fai perché devi. Certe cose le fai perché puoi, e dopo non ne parli più".
O forse perché avvertivano che il salvataggio di quei bambini fu una piccola luce all'interno della notte più buia della storia in cui la maggior parte delle persone morì e cadde nell'oblio, in cui si separarono figli da genitori, fratelli da sorelle per poter garantire almeno a qualcuno la vita.
Accabadora - Michela Murgia
Con questo romanzo struggente, scritto in un linguaggio limato dove nulla è pleonastico o superfluo, Michela Murgia ci catapulta prima a Soreni, in Sardegna, in un mondo sconosciuto ed atavico per poi proseguire la storia in una Torino che assomiglia a molte città dei nostri giorni e quindi concluderla in Sardegna.
L'autrice pone all'attenzione del lettore due temi sfaccettati e complessi: la maternità e l'eutanasia, temi che si susseguono lungo l'intero racconto, a volte alternandosi, a volte correndo in parallelo, a volte superandosi senza mai però raggiungersi o toccarsi.
De Nittis - Fernando Mazzocca
In questa interessantissima monografia Fernando Mazzocca ci presenta Giuseppe De Nittis, pittore originario di Barletta che lavorò prima a Napoli e poi a Londra e Parigi tra il 1860 e il 1884, anno in cui morì a soli 38 anni.
I critici sono in disaccordo nello stabilire se De Nittis sia stato un impressionista o no ma probabilmente l'aspetto più affascinante della sua straordinaria pittura è il legame con la fotografia allora agli albori. Infatti, osservando le 60 riproduzioni delle opere di De Nittis qui presenti, si intuisce come la fotografia abbia influenzato il suo approccio pittorico, visibile ad esempio nei ritratti in cui il soggetto appare decentrato, nelle scene di vita metropolitana che richiamano la "street photography", nella fuga prospettica che conferisce profondità alla scena, nei violenti chiaroscuri delle immagini notturne o dei tramonti, nella gestione difficile delle ombre delle ore di sole intenso.