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Il cinema secondo Hitchcock - François Truffaut

Si tratta di un Monumento imperdibile per chiunque ami l'Arte cinematografica, e infatti sentivo un certo senso di colpa per non averlo ancora letto fino ad ora.
Non saprei bene cosa dire a riguardo, visto che si tratta di un'intervista fiume (più un prologo e un capitolo aggiunto dopo la morte dell'Autore britannico) in cui non solo i due Cineasti sviscerano la Filmografia hitchcockiana, con sguardo sì ammirato (per Truffaut) e soddisfatto (per Hitchcock) ma anche capace di (auto)critica (per entrambi) decisa, aggiungendo anche interessanti aneddoti sulle genesi produttive e la vita di Hitchcock, ma si arriva più volte a esprimere una lucida teorizzazione di come fare Cinema, per raggiungere il grande pubblico mantenendo però una certa autorialità (questo è soprattutto Truffaut che lo nota nel suo "Maestro").
Recensirlo quindi non ha molto senso, a mio avviso, ma posso dire di aver trovato parecchi spunti interessanti per come guardare il Cinema e, soprattutto, per come eventualmente farlo in prima persona.
Magari non tutti i concetti sono da me condivisi pienamente, ma sicuramente le idee di Truffaut e, in particolare, di Hitchcock sono miniere d'oro da esplorare e tenere a portata di mano, motivo per cui auspico successive riletture.

Povere creature! - Alasdair Gray

Lo scheletro narrativo e tematico è sostanzialmente simile in entrambe le Opere (riassumendo molto, molto brevemente, una sorta di reinvenzione del Frankenstein di Mary Shelley con inserti riflessivi filo-socialisti e filo-femministi), ma le numerose differenze saltano all'occhio, soprattutto nella caratterizzazione di diversi personaggi, anche molto importanti, e in varie svolte narrative. Molto intrigante, e strettamente correlata alla natura del Libro (motivo per cui, a differenza di altre mie letture, ho aspettato di arrivare fino all'ultimissima pagina delle appendici prima di proporre un commento), è la costruzione a matrioska della storia, ulteriore punto di contatto con Frankenstein e anche fonte di un simpatico gioco metaletterario. Gray parte presentando la storia come frutto del ritrovamento di un manoscritto del dottor McCandless, marito della Protagonista Bella Baxter, in cui si inseriscono anche due interventi epistolari, uno di Duncan e l'altro (molto più lungo) di Bella. Concluso il libro di McCandless, viene allegata una lettera della Protagonista, che rielabora la propria storia smentendo diversi caratteri, soprattutto quelli più fantastici, della narrazione del marito. Infine, torna la voce di Gray con delle annotazioni "critiche" e "storiche" su alcuni passaggi della storia, culminanti in un resoconto non ottimistico ma affascinante della vita di Bella/Victoria dopo gli eventi appartenenti alla narrazione principale.

Oltre al brillante gioco linguistico, che spero di poter godere in futuro ancor meglio con una lettura in inglese, come dicevo in apertura il Libro ha già in sé diversi degli elementi contenutistici filo-femministi e filo-socialisti che poi Lanthimos riprenderà nel suo Film e, come per certi versi era prevedibile (un lungometraggio hollywoodiano, per quanto autoriale, quasi inevitabilmente dovrà tenere un attimo a freno certe sfumature ideologiche), nell'Opera di Gray questi elementi, seppur conditi con una buona dose di (auto)ironia (anzi, proprio perché conditi da essa), assumono caratteri più espliciti e radicali, mettendo a nudo non solo l'ingiustizia del sistema patriarcale capitalista occidentale (chiaramente si usa un'ambientazione passata per parlare del presente) ma pure la sua intrinseca e ridicola stupidità. Da anarchista, non posso non apprezzare assai tutto ciò, soprattutto se viene espresso attraverso un linguaggio narrativo più o meno accessibile anche a un pubblico meno politicizzato.

Insomma, un magnifico Romanzo di cui consiglio caldamente la lettura, anche se per un po' in biblioteca sarà difficile trovarlo in tempi brevi mi sa.

Il viaggio dell'eroe - Christopher Vogler

Come dice benissimo lo stesso Vogler nella conclusione del libro, non si tratta tanto di una struttura immutabile dogmatica, che va seguita per forza perché altrimenti non si scrive una buona storia, ma una guida, una mappa (bella immagine usata dall'autore) con cui per orientarsi sia nella costruzione di una nuova storia sia nell'analisi di storie già narrate, soprattutto pensando alle tipologie più convenzionali, più adatte a un grande pubblico, in particolare quando si parla del cinema (hollywoodiano). Personalmente ho trovato interessante vedere come il libro affronta varie tappe e personaggi archetipici che accomunano bene o male un po' quasi tutte le storie per dare appunto una mappa in generale.
Magari non è un tipo di approccio che rispetterei a 360 gradi (anzi!) e la lettura non mi ha "convertit" a vedere questo modello come massima guida spirituale narrativa, così le (prime) lezioni di sceneggiatura avute alcuni mesi fa a scuola non hanno completamente plasmato la mia persona ad accettare in maniera fideistica la struttura dei tre atti (tra l'altro presente anche nel viaggio dell'eroe. Come dicevo, però, ho trovato molto interessanti gli stimoli che la lettura ha suscitato sulla mia curiosità, sia per valutare opere già fatte sia per poter idealmente costruire o ricostruire miei progetti personali.
Insomma, potrei riprendere in futuro questo libro come mappa creativa e/o critica, anche se ci tengo a ribadire che io rimango più per un approccio libertario alla narrazione.
Un piccolo appunto: curiosamente, prima di leggere la Conclusione, avevo anticipato un invito che fa l'autore, ovvero quello di trovare le nostre metafore personale. Infatti avevo mentalmente improvvisato un trip su metafore da usare per parlare di vari tipi di approccio alla narrazione, da quello più classico a quello più sperimentale, utilizzando le tipologie di viaggio (da quello più "lineare" focalizzato sul raggiungimento di una meta a quello invece fondato sul perdersi) come immagine.
Comunque, una lettura interessante: ora però mi interessa leggere versioni alternative di questo modello, in particolare alcune in ottica femminista.

Il corvo - James O'Barr

Letto ieri Il Corvo (The Crow) di James O'Barr, nell'edizione definitiva del 2011 reintegrante elementi non presenti nelle prime edizioni, un po' per problemi di impaginazione e un po' perché l'Autore all'epoca aveva paura di esporre aspetti intimi della sua vita.
Come (forse) è noto, O'Barr scrisse questo Fumetto spinto da una tragedia autobiografica, ovvero la morte della fidanzata, uccisa da un automobilista ubriaco. Una Rabbia originata dal Lutto permea quindi ogni pagina, ogni quadro dell'Opera, ancor più cruenta del Film di Proyas da essa derivato (che, tra l'altro, apporta diversi cambiamenti, rendendo anche più difficile il percorso vendicativo del Protagonista e dando maggior rilevanza a Top Dollar). Questa Rabbia, incarnato nella Violenza, nell'azione abbondante nel Fumetto, è però solo un primo livello di lettura.
Subito dopo, senza dover cercare più di tanto perché è esplicitato anche più volte in diversi dialoghi/monologhi di Eric ma emotivamente più penetrante in certe Immagini (come la visione, duplicata, del cavallo urlante, tagliata nelle prime edizioni), viene il Tema del Senso di Colpa, vero motore non solo delle gesta del Protagonista ma anche di quelle del suo Autore, James O'Barr, che tra l'altro sentirà un'altra volta questa Emozione lacerante dopo la morte di Brandon Lee. Il "messaggio", apparentemente didascalico ma profondo e complesso nelle sue implicazioni, è che bisogna arrivare al Perdono di Sé, per rompere la propria prigione di auto-punizione e riuscire a ridare realmente Vita all'Amore (e alle persone amate) che si è visto strappare brutalmente via.
Un'Opera artistica nel senso più genuino del termine: da rileggere in english.

Il processo - Franz Kafka

Bene o male il Film di Orson Welles ispirato a questo Romanzo di Franz Kafka gli sarà per quel che mi ricordo fedele, a parte alcuni particolari, un paio riguardanti il personaggio dell'Avvocato, interpretato proprio da Welles, per via dell'aspetto fisico e per una scena che "ruba" al personaggio, nel Libro, del prete. L'affinità maggiore tra le due Opere, comunque, riguarda l'Atmosfera paranoica, in linea con il gusto tendenzialmente noireggiante di Welles e tipica della Poetica esistenzialmente distopica di Kafka.

L'Oppressione dello Spettro (per usare un termine stirneriano) della 'legge' si sviluppa, nella narrazione, non attraverso un'ostentazione dell'apparato repressivo ma, quasi per assurdo, sull'omissione, sull'occultamento dell'apparato legale, ad esempio nascondendo le figure giudiziarie più importanti e mantenendo nella nebulisità più totale le varie fasi del processo a partire dall'accusa, ignota al Protagonista (K) dall'inizio alla fine del Romanzo. L'immaginario, molto vicino a Pensieri anarchici (e infatti l'Autore frequentò circoli anarchici), che si va a creare è quello di un'autorità che si insinua nella vita dell'Individuo utilizzando la maschera ipocrita della "liberalità", dello "spazio libero" concesso benevolmente, ma che proprio con questa apparenza di libertà va in realtà a soffocare la vera libertà, naturale e innata, della Persona.

Il percorso di soffocamento psicologico è rafforzato da una rete abnorme di burocrazia composta da pratiche, figure professionali di basso rango che si accavallano l'una sull'altra impedendo l'accesso alle figure "importanti", avvocati tanto inutili quanto inevitabili la cui missione, invece di aiutare la persona assistita a uscire (vittoriosamente) dalla causa legale di cui è vittima, è quella di tenerla imprigionata nella macchina processuale a tempo indeterminato, idea condivisa anche da varie figure, non ufficialmente legate al tribunale (ma non per questo meno legate a quell'ambiente), che offrono il proprio aiuto al signor K.
Oltre che da motivazioni utilitaristiche, questa missione di "processo eterno" sembra rispondere anche a una sincera convinzione che il mantenimento indeterminato della persona accusata negli ingranaggi sfiancanti del tribunale sia la tattica migliore per la salvezza della persona coinvolta, la quale ribellandosi al sistema rischierebbe solo di distruggersi secondo questa teoria, e il finale (che arriva apparentemente all'improvviso) parrebbe confermare ciò. Si tratta, a mio avviso, di una mentalità conservatrice secondo la quale il mantenimento dello status quo, per quanto oppressivo, logorante e totalitario (in diversi passaggi del Romanzo diventa chiaro che le persone accusate vengono portate ad abbandonare gradualmente le proprie vite per dedicare la propria attenzione esclusivamente i propri processi), sia preferibile non solo alla sua sovversione ma persino al più piccolo tentativo di riforma, di riparazione.
Il Protagonista, invece, nonostante il suo radicato senso di inadeguatezza (o forse proprio grazie a esso), si ostinerà sempre di più a combattere, per quanto inutilmente, il mondo in cui viene trascinato.

Forse il suo fallimento, o questa è almeno una mia considerazione, deriva non tanto dal suo antagonismo, ma dal suo non essere in partenza già estraneo al sistema a cui si oppone: infatti egli è un procuratore impiegato in banca, un mondo quindi che fa parte dello stesso universo in cui vive quello giudiziario. Gli manca, a K, inoltre un corpo ideologico che possa, voglia contrastare radicalmente il sistema in cui vive, e questo gli impedisce di avere una mano ferma nelle proprie operazioni di "ribellione", portandolo spesso a ritrattare timidamente alcune strategie.

Interessante, seppure a una prima occhiata slegata dalle tematiche principali, è l'attrazione che il Protagonista prova per quasi ogni donna presente nel Romanzo. Potrebbe rispondere a una mera oggettificazione della donna come accade in molti libri di narrativa "maschili", ma non mi convince come ipotesi. Per me, invece, ciò serve a rafforzare i conflitti interiori del Protagonista e soprattutto la sua divisione tra ingranaggio del sistema e in ribellione contro di esso: nella prima sfera, egli si rivela molto simile agli uomini di legge incontrati (e combattuti) durante il suo processo, in quanto concepirebbe le donne come mero oggetto sessuale, e ciò viene sottolineato dall'emersione di sentimenti come gelosia o desiderio; nella seconda sfera, invece, egli si stacca nettamente dagli altri uomini, non solo quelli di legge, perché, a differenza di tutti loro, riesce a notare le donne come personaggi pensanti, tant'è che arriva anche a chiedersi come mai vada a cercare appoggio proprio in personaggi femminili, con cui per molti versi il Protagonista sembra essere maggiormente in sintonia rispetto ai suoi "compagni" maschili, che invece tendono a confonderlo dimostrando ottusità.

Chiudendo questo flusso di pensieri, non posso non reputare questo Romanzo un Capolavoro letterario e una fonte di ispirazione fondamentale.

Il sosia - Fëdor Dostoevskij

Terminata la lettura de Il sosia (Двойник, Dvojnik) di Fëdor Dostoevskij: la spinta per il recupero di questo Romanzo nasce dal colpo di fulmine che ebbi l'anno scorso vedendo Enemy di Villeneuve e, soprattutto, al desiderio di narrare pure io qualcosa di simile, per cui mi decisi a leggere L'uomo duplicato di Saramago (alla base del Film del 2013) e, appunto, quest'opera di Dostoevskij.
Temo che avrò diverse difficoltà a parlare di questo Libro, motivo per cui mi limiterò a buttare giù alcune riflessioni, più o meno sconnesse, stimolate dalla lettura. In primis, complice l'aver iniziato da poco pure la lettura de Il processo di Kafka, il mood emotivo della narrazione e del protagonista mi è parso molto affine al mio stato emotivo dell'ultimo periodo, cosa che ha fatto riaffiorare un mio altro progetto narrativo. Mi chiedo se il mio mood sia stato effettivamente in sintonia con quello del Libro o se il Libro, semplicemente, abbia evidenziato al mio occhio i lati più paranoici della mia personalità, oppure entrambe le ipotesi in rapporto di mutualismo, oppure sono io una sorta di miles gloriosus al contrario, che invece di auto-celebrarsi rafforza il proprio ego cercando di rievocare una paranoia inesistente?
Non so, ma la costruzione volutamente confusa della narrazione, riflettente la profonda confusione mentale del protagonista Jàkov Petròvič Goljàdkin (senior, per distinguerlo dal sosia), è in linea coi miei gusti più o meno surreali e, per certi versi, per quanto certe atmosfere siano quasi ovvie da attendersi in un Autore come Kafka, in uno con una fama più "realista" come Dostoevskij non me l'aspettavo realmente, ma non per questo mi è parso un libro spersonalizzato, anzi. Probabilmente la sua collocazione in un momento giovanile dell'attività dello Scrittore ha influenzato questa vena sperimentale, ma pur forse con qualche acerbità si vede tutta la Forza esistenziale, malinconica e pessimisticamente/benevolmente umanistica dell'Autore.
Altro non saprei che dire, ora come ora, se non che sarebbe a mio avviso ottimo materiale per un Cinema deliziosamente sperimentale, ma forse è un tipo di Romanzo che, più che di adattamenti diretti, al Cinema può vivere al meglio tramite ispirazioni indirette.

Il pianista - Wladyslaw Szpilman

Ho terminato la lettura de 'Il pianista' ("The Pianist") di Władysław Szpilman, resoconto autobiografico dell'occupazione nazista in Polska e delle politiche anti-ebree, base per l'omonimo (e pure alquanto fedele, cosa per assurdo non così scontata nei film "tratti da storie vere") Film di Roman Polanski.
Stando alla prefazione del figlio, il libro (pur venendo subito pubblicato, e presto anche censurato) sembra essere stato composto da Zpilman più per sé stesso, ed è questo forse che lo rende così intimista e quindi genuino (pur mantenendo un certo distacco, quasi incredibile visto che l'autobiografia è stata scritta immediatamente dopo la guerra) sul piano emotivo.
Le esperienze private dell'autore, se da un lato limitano il punto di vista delle vicende alla sua soggettività, dall'altro mettono in luce aspetti dell'occupazione tedesca meno considerate di solito ma importanti nella ricostruzione sociale del periodo, e anche per questo la lettura è risultata molto interessante.

Dopo il libro vero e proprio, nell'edizione da me recuperata in biblioteca venivano proposti anche stralci del diario di Wilm Hosenfeld, ovvero il soldato tedesco che aiutò sul finire della guerra Szpilman a nascondersi: le opinioni rispecchiano un sentire moderato-conservatore e cristiano, ma le (forti) critiche alle politiche naziste hanno un sapore sincero e condivisibile e nel complesso anche questo contributo risulta importante.

Interessante anche la postfazione di Wolf Biermann che ricostruisce sostanzialmente la storie di Hosenfeld non tramandata né nello scritto di Szpilman né negli stralci di diario dello stesso Biermann.

Wrong turn - Emilio Ranzato

Il libro analizza il filone Horror statunitense della 'deviazione fatale' analizzandone i risvolti contenutistici, quindi i riferimenti socio-politici del periodo in cui Opere come "Psycho", "Spider Baby", "Deliverance", "The Texas Chain Saw Massacre" o "The Hills Have Eyes" sono state realizzate, considerando inoltre titoli anticipatori del filone e sua chiusura, in prevalenza negli anni '80 'restauratori', con un appunto sul revival ('innocuo' secondo Ranzato) degli anni 2000. Al di là delle opinioni soggettive (i banali 'gradimenti/non gradimenti', ma anche le interpretazioni fornite) dell'autore, ho trovato la lettura estremamente interessante e ricca di stimoli riflessivi su questo tipo di Cinema, utili sia per mie future letture dei vari Film (i più 'importanti' già visti ma alcuni come "The Sadist" e "Lady in a Cage" ancora da scoprire) sia per mie incursioni pratiche (sperando di riuscire un giorno a realizzarle), ma utili anche per dibattiti (interiori e interpersonali) estranei al Cinema in sé.

1492 - un film di Ridley Scott

Purtroppo si tratta di un'edizione in dvd alquanto stronza: segnala la presenza dell'audio inglese ma invece le due tracce sonore sono entrambe doppiate.

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