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È un romanzo molto particolare, insolito, dallo stile spiazzante, che, benché tratti tematiche importanti, risulta non sempre comprensibile e lineare; l'ho trovato un po' contorto e troppo frammentato. Il libro si apre con una chat gay che introduce il primo protagonista, nonché voce narrante in prima persona. Un personaggio ambiguo, fragile, insicuro e a volte irascibile. Vi è poi una seconda voce narrante, quella di Emine, anch'ella un personaggio tormentato, privato dei sogni e costretto a seguire il destino riservato alle donne albanesi negli anni Ottanta. Le due voci si alternano, mantenendo tra l'altro due diversi piani temporali: Bekim il presente ed Emine il passato, dal momento che racconta l'evolversi della propria vita. Le due storie proseguono parallele e finiscono per intrecciarsi solo in un piccolo frangente, quasi a testimoniare la labilità del legame che accomuna i due protagonisti. Vi si ritrovamo numerose parole ed espressioni in albanese ed infatti i protagonisti appartengono ad un periodo in cui il Kosovo faceva parte dell'Albania. Vi sono anche oggetti, vestiti e tradizioni di questa terra, soprattutto legate alle nozze e traspare una certa antipatia nei confronti dei gatti ed una pratica durante la prima notte di nozze che mi auguro con tutto il cuore non sia vera: da amante dei gatti non potrei accettarla! Numerosi anche i riti scaramantici di buon augurio. Anche in questa cultura, purtroppo, emerge la figura di una donna sottomessa, che deve servire ed assecondare in tutto il proprio uomo o il padre. L'autore Pajtim Statovci si serve anche di una buona dose di realismo magico, utilizzando numerose metafore, un gatto allegorico ed antropomorfo che dal carattere arrogante e razzista ho assimilato alla figura di Bajram. Ben trattato è sicuramente il tema dell'immigrazione, rimarcando la differenza tra culture diverse e la difficoltà di integrazione da parte degli stranieri, data la discriminazione ed il campanilismo delle popolazioni locali, che di certo non aiutano. L'immigrazione prende il là da un fatto storico reale: la morte del presidente Josip Broz Tito e la conseguente crisi della ex Jugoslavia, la disgregazione del paese, le lotte interne tra albanesi e croati che sfociarono nella guerra del Kosovo e nel massacro di Raĉak, un omicidio di massa perpetrato dalle forze serbe. Viene quindi affrontato anche il tema della guerra e molto toccanti sono le immagini di sofferenza stile telegiornale, che portano inevitabilmente a dubitare dell'esistenza di Dio. Elementi ricorrenti nel libro sono sicuramente i gatti (ben 3 e di carattere diverso) e la morte. Altre tematiche importanti affrontate sono la violenza domestica e la fragilità delle relazioni familiari, che nel bene e nel male segnano per tutta la vita, così come le proprie origini e sicuramente il tema dell'omosessualità. La scrittura, per quanto scorrevole, risulta comunque frammentata, visti i numerosissimi salti temporali e la scelta di inserire elementi metaforici o eventi indipendenti, quali semplici comparse, che destabilizzano e portano il lettore ad interrogarsi e a cercare di trovare una chiave di interpretazione. I dialoghi sono pochi, quasi a sottolineare la solitudine che accompagna ed aleggia intorno a tutti i personaggi; a volte i pensieri o i discorsi diretti vengono inglobati nella trama con un altro font. Non mancano descrizioni più poetiche e liriche del paesaggio, ma anche riflessioni di un certo calibro. Non posso dire che il libro mi abbia fatta impazzire, ma non posso nemmeno dire che non mi sia piaciuto! Ho gradito come l'autore abbia affrontato di petto determinate tematiche, ma non avrei disdegnato un maggiore approfondimento delle parti più criptiche.

Dei vari adattamenti (tra cui una recente miniserie televisiva) ho visto, più volte, i film The Village of the Damned di Wolf Rilla e il remake carpenteriano, più (una sola volta) il sequel del film di Rilla Children of the Damned (di Anton Leader). I film calcheranno più sugli aspetti fantascientifici e, nel mostrare per bene l'esecuzione della "soluzione finale", faranno sentire la loro "età".
Il libro, invece, si concentra, aiutato dalla forma scritta, sui dilemmi etici che la minaccia infantile suscita, senza arrivare mai veramente a una distinzione manichea tra "personaggi buoni" e "personaggi cattivi" ma enfatizzando l'aspetto primordiale, di lotta tra specie, del conflitto in corsi. Nel Romanzo, the Children crescono a doppia velocità e, quindi, sul finale il loro aspetto è (post)adolescienziale: in questo, quindi, i film risultano più sconvolgenti, perché lì l'aspetto resterà infantile. Un altro aspetto in cui i film risultano, a mio avviso, più "avanzati" (soprattutto quello di Rilla) è la relativa rinuncia del binarismo maschio-femmina con cui ne romanzo si sviluppa la (doppia) mente collettiva del gruppo di Children.
Il romanzo, però, recupera punti rimarcando continuamente l'innocenza infantile del gruppo "alieno" e, ancor più di quanto mi accade nei film (e anche lì mi accade), ho sentito in maniera palpabile una spinta empatica nei confronti della "specie invasiva" che, di fatto, si limita a difendersi dall'aggressione del gruppo maggioritario, ovvero l'umanità.
Un Libro di Fantascienza nel miglior senso del termine, ovvero che, utilizzando un espediente fantastico (con giustificazione para-scientifica), va poi a parlare di tematiche complesse e stratificate toccando filosofia, etica, politica, sociologia e via discorrendo senza annoiare né scadere nel didascalico, ma stimolando dei sani Dubbi.

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