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[Milano] : San Paolo, 1998
11 agosto 2024 alle 19:48
È un breve romanzo che parla di guerra, ponendo però l'attenzione non sull'atto bellico in sé, sui combattimenti o sugli scontri, quanto invece sui sentimenti che prova chi è costretto a viverla, sia dal punto di vista di chi la subisce, sia da quello di chi è costretto a farla. Il libro si apre con l'invasione da parte di un esercito straniero di un paese a cui non era nemmeno stata dichiarata guerra: John Steinbeck non fa nomi e non cita luoghi, ma si pensa faccia riferimento all'invasione della Norvegia da parte della Germania nazista. Il titolo è tratto dal secondo atto di Mcbeth e sembra alludere ad un momento funesto di cui gli umani non sono consapevoli (l'invasione inaspettata).Ciò che colpisce non è la trama, ma la grande capacità dell'autore di mostrare il lato più umano della guerra, le fragilità che colpiscono gli occupati, desiderosi di mantenere la propria libertà, diffidenti verso gli stranieri e capaci di unire le forze per il bene comune, ed anche gli occupanti, con la loro nostalgia di casa, la mancanza degli affetti, la paura della morte che si trasforma in rabbia e crudeltà verso chi li ospita. Steinbeck sottolinea così il fatto che la guerra non potrà mai avere né vinti né vincitori, perché la guerra non muta nulla, ma crea solo un ulteriore abisso di odio. Inizialmente l'opera era stata pensata per il teatro ed è forse questo il motivo della grande presenza di dialoghi. Ma per quanto le descrizioni siano ridotte, la penna di Steinbeck sa sempre trasformare le parole in immagini. Anche la descrizione del paesaggio è significativa: ad esempio la neve, continuamente citata, sembra contrapporre la sua nota di purezza e di candore all'orrore e all'odio di chi si combatte. E non poteva mancare un epilogo ad effetto, a cui l'autore ci ha meravigliosamente abituati. Io lo preferisco in forma più romanzata, ma non si può negare la bellezza del suo messaggio anche in quest'opera.
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