È un libro sull'olocausto, doloroso, toccante, crudo e al tempo stesso delicato, un'altra necessaria testimonianza che, pur essendo un'opera di fantasia, attinge ad abominevoli fatti storici realmente accaduti. La cosa interessante è la scelta dell'autrice Majgull Axelsson di narrare questi fatti disumani, ormai noti ma mai sufficienti per non dimenticare, da un punto di vista insolito: quello degli zingari, con il loro segno distintivo del triangolo marrone e la lettera Z preposta al codice numerico impresso a fuoco, che furono perseguitati dai tedeschi al pari degli ebrei. Vi sono a riguardo dei riferimenti storici preziosi, spesso sconosciuti ai più: la resistenza del settore degli zingari ad Auschwitz; la notte degli zingari, ossia la terribile notte tra il 2 ed il 3 agosto del 1944, in cui circa 3000 zingari furono gasati e poi bruciati; e gli orripilanti esperimenti del medico Mengele, condotti appunto soprattutto sui bambini di questa etnia. Nel libro si parla soprattutto dei suoi esperimenti sulla noma, una malattia dovuta alla malnutrizione, una specie di cancrena per cui i batteri del cavo orale si nutrono del corpo stesso, causando dei veri e propri crateri in viso. Mengele, un vero e proprio mostro, che "addolciva" le sue innocenti vittime con le caramelle... Piange il cuore solo al pensiero di a quanto possa arrivare la crudeltà umana. Mengele è quindi un personaggio reale e nel libro ve ne sono altri due. La trama si compone di continui salti temporali tra il presente della sopravvissuta Miriam ed i suoi ricordi, che appaiono come tanti cassettini dolorosi, per cui risulta molto difficile aprire le ante della memoria. Si tratta di ricordi atroci e vividi di prigionia, di fame, di violenza, che la protagonista vorrebbe cancellare, ma basta un semplice rumore a farla precipitare in un vortice di immagini strazianti. Sebbene ci sia la necessità di dimenticare, non si può sradicare una paura che resterà sempre dentro. Appaiono lampanti tutti i pregiudizi rivolti agli zingari, i tattare, come venivano chiamati in modo spregiativo in Svezia, paese scelto da Miriam per continuare a vivere. L'autrice si sofferma giustamente nelle descrizioni della vita nel lager, sottolineando le caratteristiche fisiche comuni a tutte le deportate: "magre e nodose, volto grigio, occhi inespressivi messi in ombra dai cerchi scuri della fame". E alla tristezza di ciò che è veramente successo, si aggiunge un racconto doloroso, di chi è costretto a tenersi tutto dentro, non solo per la fatica di rivivere qualcosa di doloroso, ma anche perché a fine guerra vi era realmente una sorta di tabù su tutte le testimonianze dei lager. La lettura è scorrevole, lunga e ricca di particolari, ma mai noiosa. Si ritrovano anche alcune parole in romanés, la lingua dei rom ed un gergo tipico dei campi di concentramento: l'aufseherin (sorvegliante dei blocchi), i muselmann (morti viventi, detenuti con inedia fino alle ossa e che hanno smesso di lottare), il kaninchen (il coniglietto, ossia le cavie per gli esperimenti), il sonderbehandlung (il trattamento speciale, un eufemismo usato dalle SS per mascherare l'omicidio di massa tramite le camere a gas). Una lettura molto interessante che pone l'attenzione ancora una volta su un pezzo di storia che deve continuare a "tormentarci", a farci riflettere sull'inferno vissuto e raccontato dai pochi sopravvissuti, che tornati alla libertà non hanno potuto fare a meno di trovare straordinarie situazioni e comodità legate alla nostra normalità di tutti i giorni...